3 luglio: l’Italia è pronta al cambiamento?

25 Giu 2021 | (PLANET)

Tra plastiche “stranissime” e compromessi, facciamo chiarezza in vista dell’addio alle plastiche monouso.

«L’Europa ha dato una definizione di plastica stranissima.»

Lo ha detto Roberto Cingolani, e diciamocelo: siamo tutti un po’ confusi quando si parla di plastica, tra plastiche bio, green, PET e altre 50 sfumature di materiali derivati, a chi non capita di confondersi? L’unica cosa strana, forse, è che Roberto Cingolani è un ministro, e non di un ministero qualsiasi, ma proprio di quello della transizione ecologica.

Quindi sì, il suo stupore di fronte alle direttive dell’Ue ci sembra un po’ strano (o stranissimo), soprattutto se pensiamo che non solo le abbiamo approvate ben 2 anni fa, ma che entreranno in vigore dal 3 luglio.

L’Italia è pronta?

Si direbbe di no, e in questo (purtroppo) pare non esserci nulla di strano.
Per questo abbiamo deciso di fare un po’ di chiarezza in un tema sta confondendo un po’ tutti.

Era il 2015 quando la Commissione Europea stilò il Circular Economy Action Plan, il suo primo piano d’azione a tappe per accelerare la transizione verso un’economia circolare europea, stabilendo azioni concrete per promuovere una crescita economica sostenibile: dalla produzione e consumo alla gestione dei rifiuti e una proposta legislativa sui rifiuti.

Facciamo un salto e arriviamo al 2019: anno in cui venne formalmente adottata dal Parlamento Europeo e dal Consiglio dell’Unione Europea la Direttiva 2019/904, tesa a ridurre l’incidenza di determinati prodotti di plastica monouso sull’ambiente, in particolare sull’ambiente acquatico: si stima infatti che questo tipo di prodotto rappresenti il 77% dei rifiuti marini.

Cosa sarà vietato?

Posate, piatti, cannucce, mescolatori per bevande, aste per palloncini, contenitori per cibo d’asporto e bastoncini cotonati.
Tutti gli oggetti sopracitati NON potranno più essere prodotti se composti da:

  • plastiche di origine petrolifera,

  • platiche “verdi” PET, fatte con polietilene,

  • bioplastiche, che possono comprendere plastiche derivate da canna da zucchero, mais, riso, patata, dall’acido lattico, o da miscele di polimeri.

Perché le bioplastiche no?

Si chiamano bio perché si degradano in 90 giorni dentro gli impianti di compostaggio, ma non sempre sono biodegradabili o compostabili!

Quindi… Cosa c’è di strano?

La buttiamo lì: probabilmente è legato al fatto che l’Italia detenga da sola il 60% del mercato europeo del monouso.
Abbiamo investito per anni nelle bioplastiche diventando leader nel settore, e ora stiamo rischiando migliaia di posti di lavoro (e 815 milioni di euro di fatturato all’anno).

Le aziende hanno sperato in proroghe o concessioni che non ci sono state, mentre il governo ha chiesto per piatti e bicchieri monouso di poter accoppiare alla carta un sottile strato di plastica (di qualsiasi tipo) e chiesto l’appoggio agli altri Stati membri, ricevendolo solo da Grecia e Polonia.

Ora non resta che aspettare il 3 luglio, per scoprire se saremo sanzionati o chiuderanno un occhio.

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